Matisse e i giardini dentro le nostre case
Aprile 2020
In questo periodo di crisi e d’incertezza con i confini ancora ridotti a quelli di casa, desideriamo prendere spunto dal mondo dell’arte e degli artisti per provare a chiederci quali suggerimenti ci può dare.
E se è vero che la speranza del cambiamento nasce dalla crisi, in questo tempo d’attesa, possiamo provare ad aprire in noi nuove sensibilità. E allora perché non credere a quanto diceva Albert Einstein:
“La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere superato. È nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla.”
Può, nella vita, un problema in apparenza drammatico risolversi in una nuova fonte di ispirazione?
Per Henri Matisse, (Le Cateau-Cambrésis, 1869 – Nizza, 1954) la risposta è stata decisamente positiva.
La sua carriera artistica è stata curiosamente segnata da due eventi, due momenti di blocco e di pausa da tutto legati alla sua salute: uno in fase iniziale e uno alla fine.
Figlio di una famiglia borghese di commercianti, Henri dopo gli studi in giurisprudenza inizia a lavorare come impiegato nella pubblica amministrazione. Dopo un attacco di appendicite, deve passare un lungo periodo in convalescenza ed è qui che scopre il trasporto totale per la pittura e il disegno. Al punto di decidere di abbandonare la carriera intrapresa per una totale adesione all’arte, non senza la riprovazione del padre. Matisse insiste caparbiamente, è certo della scelta, tanto che il successo arriverà presto e diventerà il pittore, fauves, che tutti conosciamo.
I suoi primi quadri, dal 1917 in poi, sono spesso rappresentazioni un po’ intimiste, di ambienti familiari, interni in cui è quasi sempre presente una finestra o una porta, che si aprono al «fuori», da un luogo protettivo e familiare verso un esterno che non sembra mai inquietante ma rimane comunque separato e un po’ misterioso.
In questi giorni di (necessaria) reclusione, mi sembra un tema quanto mai attuale.
Quanto tempo passiamo di fronte alle nostre finestre?
Qual’è il panorama che abbiamo davanti?
Proviamo a spingere lo sguardo oltre a ciò che immediatamente ci colpisce o che abbiamo visto così tante da non riuscire più a vederlo, perché «Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi» scriveva Proust.
Proviamo a raccontare con un disegno, una foto, un dipinto le nostre immagini sul mondo esterno dalle nostre finiste?
Ma andiamo avanti nella sua storia. Nel 1941, Henri Matisse subì un grave intervento chirurgico a causa di un cancro all’intestino, che gli era stato diagnosticato lo stesso anno. Sopravvisse, ma fu costretto permanentemente a usare la sedia a rotelle. Lungi dall’arrendersi, Matisse inventò i collages (gouaches découpés) un nuovo modo per creare: “dipingere con le forbici”.
Cominciò quasi esclusivamente a ritagliare con le forbici dei pezzi di carta dipinti precedentemente, in varie forme di diverse dimensioni. Rappresentò elementi sia astratti sia del mondo vegetale o animale e combinandoli poi fino a formare vere e proprie composizioni artistiche.
Riuscì a superare il dolore e le conseguenze di una malattia con forza e creatività. Impossibilitato ad uscire, l’artista “portò il giardino dentro casa”, trasferendo sulle pareti del suo appartamento di Nizza il colorato universo della sua anima.
Liberate dalle costrizioni della tela, queste forme ritagliate invasero lo spazio circostante, impadronendosi delle pareti, ricoprendole di colore. Matisse trasformò in arte elementi essenziali come colore, forma e dimensioni.
“I ritagli di carta “, disse, “mi permettono di disegnare nel colore. È più semplice per me. Invece di disegnare i contorni e mettere il colore all’interno – modificando l’uno con l’altro – disegno direttamente dentro il colore”.
Quando all’età di 82 anni, Henri Matisse andò con la sua assistente Lydia Delectorskaya in piscina a Cannes per guardare le persone nuotare, il caldo era così soffocante che i due furono costretti a tornare a casa.
«Costruirò da me la mia piscina personale» dichiarò allora Matisse. Si armò di forbici e di una carta blu brillante e iniziò a ritagliare figure sinuose di onde e nuotatori, per poi appenderle alle pareti di casa («ho sempre adorato il mare – dirà – e ora che non posso più andare a nuotare, me ne sono circondato»).
Per spiegare il suo dinamismo e la sua vitalità Matisse disse che un vero artista “non dovrebbe essere mai prigioniero di sé stesso, della sua reputazione, del suo stile o del suo successo”.
“Matisse ha il sole nella pancia”, diceva ammirato Pablo Picasso, suo grande amico e rivale.
Un anno prima di morire, Matisse scriveva che il «coraggio di liberarsi dai pregiudizi è indispensabile all’artista che deve guardare alle cose come se le vedesse per la prima volta: per tutta la vita si deve avere uno sguardo come quando si era bambini».
Dedico a tutti gli artisti, gli ostinati sognatori, portatori sani di bellezza sempre appassionati, in questo momento di arresto forzato delle proprie attività, uno sguardo a questo grande artista e al suo momento di crisi, perché ci dia nuove energie, e nuovi orizzonti da condividere e per riuscire a dare uno sguardo sempre nuovo alle nostre finestre e per portare il giardino dentro le nostre case, accettando la sfida di guardare “più in là” con gli occhi della mente e con gli occhi del cuore, perché “Pochi sono coloro che vedono con i propri occhi e sentono con il proprio cuore” ci ricorda Albert Einstein